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MAX CASACCI
Max Casacci, poliedrico fondatore dei Subsonica, produttore, autore di musica e testi, ingegnere del suono, sperimentatore, chitarrista, è noto per la sua passione nell'esplorare i confini della musica.
Attivo già giovanissimo nell’underground new-wave dei primi ’80, ha costantemente alternato attività di band a produzioni in studio. Ha percorso i sentieri della “dub culture”, producendo, scrivendo e suonando live con gli Africa Unite fino in Giamaica. Ha prodotto, collaborato o composto per icone come Battiato, Mina, Antonella Ruggiero, Eugenio Finardi e a prodotto o mixato album per artisti sperimentali come Lorenzo Senni (Warp records).
Dal 2011 inizia un percorso legato a rumori e ambienti sonori, con l’opera (Biennale di Venezia 2011): Glasstress, che mette in musica strumenti e suoni di una fornace del vetro di Murano. Nel 2017 sono i suoni e i rumori di Torino a suonare insieme agli strumenti di alcuni tra i più importanti jazzisti: Enrico Rava, Gianluca Petrella, Furio Di Castri ed Emanuele Cisi.
Attraverso il suo progetto Earthphonia (2020), si dedica alla cattura di suoni naturali della Terra, trasformandoli in melodie e ritmi unici, con collaborazioni illustri del mondo scientifico e ambientalista come Stefano Mancuso e l’artista Michelangelo Pistoletto il quale commissionerà a Max Watermemories: opera sonora con i rumori del fiume Cervo.
Earthphonia è un album in cui non è il compositore a imporre la partitura, ma sono le note a sgorgare direttamente dagli ambienti naturali che guidano il processo creativo e indicano la strada da seguire: il rapporto uomo-musica si ribalta e quello uomo-natura si avventura nella ricerca di un nuovo equilibrio.
Earthphonia è anche un libro scritto in collaborazione con il geologo Mario Tozzi, promuovendo la consapevolezza ambientale attraverso l'arte sonora.
Nel novembre del 2022 esce Urban Groovescapes - Earthphonia 2, album dance realizzato sempre senza strumenti, esclusivamente con suoni dello spazio urbano.
CHE COSA RAPPRESENTA PER TE OGGI LO STUPORE ? COME TI SEI LASCIATO CONDURRE DA ESSO NEL PROCESSO CREATIVO DI EARTHPHONIA E PERCHÉ LO COLLEGHI AD UN’IDEA DI AZIONE?
La dimensione dello stupore è un po’ il sottotesto che attraversa tutto il lavoro di Earthphonia.
A partire da quanto possa essere stupefacente il vedere trasformati i rumori e gli ambienti sonori della natura in trame melodiche, in orchestrazioni, in ritmi; per arrivare poi alla narrazione che si esprime tra le pagine del libro di Earthphonia; ma anche durante gli spettacoli e i concerti che tendono a svelare tutta una serie di meraviglie legate ai meccanismi della natura, e che si trasformano in azione, perché tendono a costruire una sorta di legame empatico tra noi e gli ecosistemi che dovremmo proteggere.
Spesso la narrazione legata all'ambiente è carica di profonda preoccupazione, una preoccupazione legittima che, tuttavia, rischia di sfociare in un allarmismo che, a sua volta, potrebbe generare un senso di chiusura e distacco.
Per questo motivo, sia io che Mario Tozzi, abbiamo deciso di adottare un approccio basato sulla dimensione dello stupore e del racconto.
L'obiettivo è quello di creare un avvicinamento, suscitando una consapevolezza delle potenzialità di cambiamento e di azione positiva nei confronti dell'ambiente.
Inoltre, abbiamo osservato come lo stupore possa agire in modo balsamico, attenuando il peso, anche negativo, che proviamo nei confronti all'ambiente.
Dal momento in cui veniamo a contatto con le incredibili rivelazioni legate all'intelligenza adattiva del mondo vegetale, molto più efficace della nostra; oppure quando sentiamo raccontare dei meccanismi sofisticatissimi della società delle api; o quando veniamo a conoscenza del fatto che l'Oceano è responsabile di metà dell'ossigeno che respiriamo ovunque ci troviamo nel mondo - l'unico grande Oceano che ricopre gran parte della superficie di un pianeta che chiamiamo Pianeta Terra, ma che potremmo tranquillamente chiamare Pianeta Acqua - in qualche modo tutto ciò ci permette di leggerci un po' ridimensionati, e questa cosa, paradossalmente, induce a una sorta di sensazione balsamica, induce quasi a un sentimento di pace.
Il fatto di rimetterci al nostro posto, al cospetto della natura, anche nelle capacità di provocare distruzione - noi tendiamo a leggerci un po’ come degli dèi della distruzione, in qualche modo anche onnipotenti - quando siamo solo in grado, in realtà, di distruggere le nostre stesse condizioni di vita su questo pianeta, la natura potendoci sopravvivere in tantissime forme e con modalità veramente incredibili, ecco tutto questo, ripeto, in qualche modo, induce una sensazione di pace e quasi di equilibrio.
Il lavoro di Earthphonia tende a creare vicinanza empatica e a renderci in qualche modo protagonisti positivi e capaci anche di agire individualmente, nelle trasformazioni che sono necessarie per avere un'azione costruttiva nei confronti dell'ambiente.
NELLE TRACCE DI EARTHPHONIA, I SUONI NATURALI DELLA TERRA SI TRASFORMANO TECNOLOGICAMENTE. QUALI SCOPERTE SONORE TI HANNO COLPITO PRIMA, DURANTE E DOPO L'INTERVENTO TECNOLOGICO?
Il lavoro sulle tracce di Earthphonia è stata una scoperta continua.
Dal 2011 mi occupo di trasformare rumori e ambienti sonori in musica, come per la Biennale di Venezia, dove ho trasformato una fornace del vetro in un corpo ritmico per un'opera sonora all'interno di una mostra di arte contemporanea, utilizzando anche altri strumenti.
Poi successivamente mi ero rapportato allo spazio più vicino a me da sempre, che è lo spazio urbano, anche senza l'uso di strumenti, usando i ritmi che sono istintivamente la traduzione naturale dell’ambiente sonoro urbano in musica.
Con i suoni di Earthphonia ho fatto molti passi nella direzione della trasformazione del rumore in musica, e tutte le tracce sonore hanno rappresentato degli elementi sorprendenti.
Alcuni suoni sono andato a registrarli io stesso, altri li ho ricevuti durante il lockdown, come per esempio quelli di una delle prime tracce a cui ho lavorato, che è Oceanbreath, una piccola sinfonia di suoni dell’Oceano.
Ebbene, quella traccia è stata realizzata con un pacchetto di suoni che mi è stato inviato dalla Onlus Worldrise, che si occupa della salvaguardia dell'ambiente marino, un archivio sonoro che spazia nei decenni e mette insieme tutta una serie di suoni provenienti dal grande oceano.
Scoprire per esempio che esistono 18 specie di pesci in grado di cantare in coro, è stato un elemento di sorpresa prima ancora di mettere mano alla creazione.
Inoltre, la scoperta di come questo coro di pesci, che apre il brano Oceanbreath, potesse essere modellato fino a trasformarsi in una sorta di texture orchestrale, è stata una sorpresa ulteriore che si è svelata nel corso del percorso creativo.
Non c'è stato un brano più sorprendente di altri, perché man mano che andavo avanti imparavo nuove tecniche di trasformazione, cercando comunque nella manipolazione di rimanere fedele all'ambiente sonoro che stavo mettendo in musica, quindi che stavo descrivendo.
Per esempio, mi ha fatto molto piacere una scoperta che ho fatto mentre stavo lavorando alla traduzione in musica dei suoni del Delta del Po, un ambiente sonoro che ho concettualizzato come musica dell'aria perché si tratta principalmente di suoni di uccelli, di tuoni, di vento.
Nel tentativo di descrivere l'idea del Delta, volevo che ci fosse un qualche richiamo al Blues, che è una musica tipica del Delta, anche se in questo caso si tratta del Po e non del Mississippi.
Lavorando sul verso dell’uccello Spatola, ad un certo punto, tagliando il suo verso, senza neanche manipolarlo, è emerso un fraseggio blues: si era creato un legame profondo fra quello che stavo cercando e quello che trovavo.
Alla base di tutto ciò esiste un meccanismo che è completamente diverso rispetto alle solite modalità della composizione musicale, dove tendenzialmente si mettono le mani su uno strumento andando un po’ sul sicuro, su cose che già si sanno fare, cercando poi magari quell'incidente di percorso che si trasforma in una scintilla creativa.
Ecco, in questo caso, lavorando con i suoni della natura, il percorso è inverso: tu stai al tuo posto, la natura esprime quello che deve esprimere e tu sei un passo indietro rispetto al processo creativo, cioè cerchi di capire come orientare l'attuazione rispetto a quello che trovi di fronte.
In un certo modo questa cosa riproduce le giuste proporzioni del rapporto fra uomo e natura.
Probabilmente, alla fine, è stata proprio questa la cosa più sorprendente, cioè riuscire a approcciarmi alla musica e alla composizione musicale con gli elementi completamente stravolti.
Un passo indietro che necessariamente apre la possibilità di rivelare quella è la tua più autentica musicalità.
RITIENI CHE LE ESPLORAZIONI DEI SUONI NATURALI IN EARTHPHONIA ABBIANO MODIFICATO IL TUO ORECCHIO MUSICALE?
QUAL È LA TUA PERCEZIONE ATTUALE DEI CONFINI E DELLE TRANSIZIONI TRA IL MONDO SONORO NATURALE E QUELLO URBANO ALTAMENTE ANTROPIZZATO?
Il lavoro sugli ecosistemi naturali ha acuito tantissimo il mio orecchio: sono in grado ormai di approcciarmi a rumori come, per esempio, quelli dei lavori stradali avvertendoli come una sorta di tessitura musicale quasi sinfonica.
Mi appassiono per delle cose che farebbero mettere le mani sulle orecchie a chiunque altro: è una deformazione che certamente mi è rimasta da questa esperienza intensa con il suono e con il rumore della natura.
L’azione di antropizzazione nei luoghi della natura purtroppo coincide anche con la scomparsa di tutta una serie di elementi di forme di vita: forme di vita vegetali e animali che magari non siamo neanche arrivati in tempo a classificare e che scompaiono; con loro scompare un patrimonio molto importante.
Penso a David Monacchi, fondamentale musicista studioso dei suoni della natura, la cui azione consiste nell’andare a registrare le foreste primordiali svelando tutta l’architettura sonora di suoni che rispondono a esigenze biologiche e che si incastrano in una perfetta partitura naturale.
Lui è molto attento a testimoniare in tempo reale i suoni che ci sono e che scompaiono.
La sua azione è molto diversa dalla mia, ma il fatto che nella perdita di biodiversità abbiamo anche da annotare una perdita di biodiversità acustica, sonora, musicale, mi ha fatto molto riflettere.
Nel lavoro successivo a Earthphonia, Urban Groovescapes (Earthphonia II), che analizza lo spazio urbano, mi sono reso conto del fatto che anche all'interno di questo contesto ci sono suoni che, con il passaggio delle ere tecnologiche, scompaiono.
Sono suoni che in realtà rappresentano un po’ la nostra stessa identità, suoni con i quali siamo nati.
Magari li abbiamo sempre classificati come disturbo, ma quando vengono riproposti in una forma diversa, rivelano tutto il loro calore, tutta la capacità di contatto intimo con qualcosa che abbiamo nelle orecchie da sempre.
EARTHPHONIA È ANCHE UN BELLISSIMO LIBRO DIALOGICO SCRITTO IN COLLABORAZIONE CON IL GEOLOGO MARIO TOZZI.
COME È NATA L'IDEA DI UNIRE CREAZIONE MUSICALE E SCRITTURA?
Ho conosciuto Mario Tozzi, attraverso un'amicizia comune, quando già stavo armeggiando con diverse tracce sonore.
La mia prima esperienza di traduzione dei suoni della natura è avvenuta durante una vacanza a Gozo passata insieme all'amico Luca Saini, regista e musicoterapeuta.
In quest’isola, sento parlare del fatto che da qualche parte lì esistevano delle pietre in grado di emettere suoni, pietre utilizzate anche per antichi rituali.
Con Luca ci incuriosiamo e andiamo a cercarle e finalmente le troviamo.
Su una scogliera a picco sul mare cominciamo a percuoterle con quello che troviamo in terra.
Nel momento in cui alla sera allineo tutti i file di registrazione delle pietre, scopro che si rivelano naturalmente intonate tra di loro, in grado di generare intervalli armonici come fossero una sorta di antica orchestra che aspettava solo di essere regalata attraverso la tecnologia.
Questo gioco diventa piano piano una cosa un pochino più seria, anche se pur sempre ancora un gioco.
Non registriamo solo i suoni delle pietre: Luca, con la sua telecamera crea un video che poi postiamo su Youtube, e così nasce, senza nessuna finalità, almeno all'epoca, il brano che si intitola Ta' Cenc, dal nome della località dove si trovano le pietre su Gozo.
Questo brano verrà poi ascoltato da un'artista, non un'artista qualsiasi, ma da Michelangelo Pistoletto, il quale mi chiede di provare a tradurre analogamente in musica i suoni del fiume della sua città di Biella, per un'opera sonora che verrà poi installata all'interno della Città dell’Arte.
Prometto istintivamente e anche un po’ imprudentemente a Pistoletto che sarei stato perfettamente in grado di trasformare il fiume in musica, senza saperlo realmente fare e da lì parte la mia avventura con i suoni della natura.
Sono infatti costretto a imparare come tradurre una natura in musica, perché le pietre di Ta' Cenc in qualche modo si comportavano da strumento musicale, anche se in modo assolutamente inaspettato, ma il fiume continuava a fare il fiume.
Quindi ho dovuto capire come estrarre fuori elementi melodici, mettendo strumenti sott'acqua, catturando delle note, dalle gocce ecc…
Nasce così Watermemories.
Poi mi ritrovo a lavorare con diverse realtà che mi coinvolgono, per esempio l'associazione Worldrise di cui parlavo prima, per quanto riguarda gli oceani, o l'Ente Regionale del Po per quanto riguarda la musica del Delta.
Tutte queste cose le racconto nel dettaglio nel libro Earthphonia – Le voci della Terra, che è quindi anche un racconto sul percorso attraverso le diverse esperienze che hanno dato vita ai vari brani.
Sono dunque lì, fra il terzo e quarto brano, durante il lockdown, e incomincio a interrogarmi sul fatto che magari questo lavoro potrebbe essere articolato in forma di album, anche se mi sembra ancora un po’ presuntuoso.
A tutti gli effetti, sarebbe stato il mio primo album e, dopo aver lavorato almeno per tre mesi su ogni traccia, per me era ancora difficile capire quale fosse la reale portata di quello che stavo facendo.
Mario Tozzi arriva in quel momento, con una forza di incoraggiamento incredibile, ascolta queste cose e dice: “Questo è uno strumento potentissimo, stai facendo un lavoro pazzesco, sono brani bellissimi, ti fanno entrare a contatto con la natura; quindi, devi andare avanti!”.
Questo personaggio di alta levatura, arriva, irrompe con una forza così propositiva e positiva, che trovo in qualche modo il coraggio di andare avanti.
Mario Tozzi è incoraggiante, ma anche un po’ intimidatorio, nel senso che mi suggerisce di non chiudere la narrazione musicale della natura senza contemplare anche il suono dei vulcani, che sono il ritmo della terra.
E così, mi regala delle registrazioni di un'eruzione dello Stromboli da lui realizzate a seguito di un documentario, dicendomi: “Tu da questo suono, devi estrarre proprio il ritmo della terra!”
Quando si parla di ritmo, data la mia formazione musicale, non ho molti mezzi termini; quindi, ho trasformato questo Stromboli in una sorta di rave primordiale, lavico, eruttivo, un evento di miliardi di anni fa spettacolarizzato in forma di cadenza quasi elettronica, un brano quasi techno, a suggerire proprio quest'idea di ritmo profondo della terra.
La relazione fra me e Tozzi, da incoraggiamento, diventa collaborazione.
Nasce l'idea di utilizzare non solo tutte le tracce sonore per realizzare un brano, ma di allegare anche una narrazione che potesse completare l'esperienza.
Si concretizza quindi l'idea dell' album-libro di Earthphonia, che poi verrà pubblicato da Carlo Petrini, altra figura che accompagnerà l'esperienza incoraggiando moltissimo, mettendo a disposizione proprio la sua casa editrice Slow Food.
Nelle pagine di Earthphonia io racconto come ho trasformato in musica gli ecosistemi -dialogando con le persone che mi hanno accompagnato Stefano Mancuso, Michelangelo Pistoletto, Mariasole Bianco etc, mentre Mario Tozzi fa parlare gli stessi ecosistemi in prima persona.
E tutto questo poi diventerà addirittura, anche se non era stato minimamente preventivato né pianificato, una sorta di concerto e di spettacolo, in cui molto spesso io e Mario Tozzi ci ritroviamo sul palco alternando narrazione a musica e sovrapponendo a volte le due cose.
Tutto ciò produce, dal punto di vista del messaggio che ci proponiamo di infondere negli spettatori, una grande efficacia di assimilazione: il dato scientifico che passa attraverso un canale emotivo ha molta più possibilità di avere un effetto, facendo entrare in risonanza le persone che assistono a quello che stai facendo.
FA PARTE DELLE TUE INSPIRAZIONI LA RICERCA DI JOHN CAGE, IL QUALE, PROSSIMO ALLA NATURA ATTRAVERSO LA SUA PASSIONE PER IL MONDO DEI FUNGHI, HA ESPRESSO L'ASCOLTO DEL MONDO ATTRAVERSO IL SILENZIO MUSICALE NEL SUO BRANO 4'33"?
Conoscevo John Cage in termini di cultura musicale generale; nello specifico mi ero appassionato a un vinile che c'era nella collezione dei dischi di mio padre Concert for percussions.
Devo però dire che lo avevo superficialmente, forse frettolosamente relegato nello scompartimento dei provocatori, dei sovversivi della musica che arrivano e producono una sorta di piccolo stravolgimento, di rivoluzione molto importante nella musica contemporanea.
Fu in realtà Ezio Bosso, carissimo amico, prematuramente scomparso, a farmi riflettere su quanto John Cage non fosse un distruttore, ma al contrario fosse profondamente legato e appassionato amante della vita e della fenomenologia non solo musicale, e di come fosse in costante ricerca di sintonia con uno stupore che la sua musica continuamente rivelava.
Il fatto di mettere per esempio dei bambini a vociare sul palco dimostrando a tutti gli effetti che quella era musica, non era solo una provocazione - c'era qualche cosa di provocatorio, sicuramente - ma era una sorta di inneggiamento alla vita stessa.
Mi ha colpito in particolar modo una riflessione di John Cage, in cui affermava che non esistono due bottiglie di Coca-Cola uguali, nel senso che ognuna di queste sarà vista con un'angolazione diversa, prenderà un taglio di luce differente a seconda del luogo, dell'ora, del momento, e che quindi l'esperienza umana, in qualsiasi momento, è un'esperienza unica che andrebbe vissuta e approfondita con l’intensità che merita.
Ecco questa, secondo me, è la grande lezione di John Cage: rimanere con le orecchie aperte in ascolto del suono, che sia della natura o altro, per offrirlo con tutto il bagaglio di costruzione narrativa in un tentativo di lasciare una traccia positiva che permane in chi ascolta.
E’ esattamente quello che ho fatto nel recente capitolo successivo di Earthphonia, Urban Groovescapes, in cui il tentativo di tradurre il suono dello spazio urbano in qualcosa che si possa ballare, vuole cercare di svelare il fatto che le città, per poter essere trasformate, devono prima essere immaginate diversamente.
Ecco, tutto questo si lega tantissimo all'esperienza umana, prima ancora che musicale, che trasmette proprio John Cage.
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