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CINEMA ANIMATO - ACQUA
di Alessandro Palmeri
"Tu non sei Gibarian."
"Ah, no? E chi sarei? Un tuo sogno?"
"No. La loro marionetta. Solo che non lo sai."
"E tu, come fai a sapere chi sei?"
Stanislaw Lem Solaris, (1961)
Prima di tutto ci sono le ombre.
Le silhouettes antropomorfe del teatro d’ombra.
Non sono propriamente ombre, anche se vivono grazie alla luce proiettata, sono rappresentazioni di uomini e animali e raccontano storie.
In qualsiasi manuale di storia del cinema, quando si parla della nascita della settima arte, si fa riferimento a tre attività umane che ne hanno permesso la scoperta:
1 – Sicuramente la fotografia: da un punto di vista tecnico la cinepresa è un’evoluzione della macchina fotografica.
Quindi lo studio del movimento negli scatti sequenziali di Muybridge e di Marey
2 – La scienza, con lo studio della persistenza dell’immagine, ossia il difetto dell’occhio umano che immagazzina l’immagine e la fonde con la successiva.
Senza la correzione di questo difetto l’occhio non riuscirebbe a vedere fluidamente lo scorrere dei fotogrammi.
Qui, un esempio visivo di quello che succede quando "l’otturatore" corregge l’errore rendendo fluida l’animazione (dal minuto 1:16 potete vedere l’effetto).
Quando la struttura ruota, l’occhio “mischia” le immagini, ma quando un nero (in questo caso una luce stroboscopica) interrompe la “persistenza dell’immagine”, nella retina ecco che l’animazione prende vita.
3 – Il teatro, genericamente come “struttura architettonica” in cui ha preso vita il cinema e nello specifico il teatro delle ombre che ha lo stesso meccanismo del cinema: una luce proietta l’immagine su uno schermo.
Parlare di marionette e cinema vuol dire tornare ai primordi, a un rapporto che non si esprime solo con l’uso o la compenetrazione di due tecniche, si tratta di un legame più stretto, quasi “genetico”.
Partendo da questo presupposto non ho cercato la presenza di marionette nel cinema ma la traccia, lo spunto, il gene che ne fa percepire la presenza anche quando non c’è.
Solaris, regia Andrej Tarkovskij
Solaris, il pianeta d’acqua (ATTENZIONE QUESTO ARTICOLO CONTIENE SPOILER)
Solaris nel cinema è tre cose: un libro e due film.
Il libro è un famoso romanzo di fantascienza di Stanislaw Lem.
Come in tutti i libri di Lem questo genere letterario viene espanso e indirizzato a speculazioni filosofiche.
Solaris racconta la storia di uno psicologo, che in un futuro in cui la colonizzazione dei pianeti è materia di studio nelle università, viene chiamato per una missione sul pianeta Solaris, di cui è profondo studioso, per capire cosa sta succedendo.
Sembra, infatti, che i pochi coloni rimasti sul pianeta non rispondano più alla terra.
Lo psicologo, Kris Kelvin, appena sbarcato sul pianeta, capisce che la situazione è drammatica.
L’amico Gibarian, che da anni è nella base di Solaris, si è suicidato e gli altri due componenti della missione sono “disturbati”, uno non vuole uscire dalla sua stanza e l’altro non vuole spiegare a Kelvin cosa sta succedendo.
La mattina seguente Kelvin si sveglia e trova nella stanza dove ha dormito sua moglie, che era morta suicida anni prima sulla terra.
E’ così che scopre il terribile segreto di Solaris: il pianeta, attraverso gli influssi della sua acqua, penetra nella mente degli ospiti e ricrea in carne ed ossa le persone che la loro mente richiama.
Questi “ospiti” inattesi sono, ovviamente, la mia interpretazione della presenza della marionetta nell’opera.
La citazione all’inizio dell’articolo è tratta dal romanzo, è il momento in cui in sogno Kris Kelvin incontra il suo amico suicida: “Tu non sei Gibarian”, “Ah, no? E chi sarei? Un tuo sogno?”, “No. La loro marionetta. Solo che non lo sai”, “E tu, come fai a sapere chi sei?”.
Gli esseri umani ricreati da Solaris sono donne o uomini che si plasmano attraverso il ricordo di chi si trova sul pianeta.
Sono quindi figure umane costruite dal desiderio nascosto di questi soggetti, quasi delle creazioni artistiche antropomorfe.
Non è forse questo il desiderio di un marionettista?
Quello di riflettere l’impaccio umano, far prendere vita a forme che ricordano qualcosa di umano. Nell’immaginario collettivo il desiderio della marionetta, e del suo creatore, è quello di poter diventare umano.
Questi personaggi di Solaris sono marionette di pelle, carne e ossa.
E come nelle favole in cui la marionetta umanizzandosi tira fuori un’anima così nel romanzo i corpi di queste reincarnazioni cominciano a sviluppare una propria coscienza.
Questa li porta a capire che sono solo delle riproduzioni, che non sono gli originali ma solo il riflesso del desiderio di qualcun altro.
Questo concetto deve essere stato molto chiaro ai due registi che hanno tratto i film dal romanzo.
Uno è Andrej Tarkovskij, famosissimo e grandissimo regista russo, che gira Solaris nel 1972, l’altro è Steven Soderbergh, , regista americano anche lui famosissimo e con la capacità di passare da film di estremo successo a film più intimi, che gira la sua versione di Solaris nel 2002.
Nella versione di Soderbergh la presenza della marionette è esplicitata nella scena del sogno di Kelvin in cui è riportato in maniera più articolato il testo del libro.
Solaris, regia Steven Soderbergh
Ma la presenza della marionetta, come dicevo, è insita nel cinema.
Non sono forse marionette umane gli attori proiettati sullo schermo?
Come nell’antico teatro d’ombre.
La figura statica, completamente nera di Gibarian ne è una esplicita rappresentazione.
C’è un’altra presenza nel film di Soderbergh che sottolinea il concetto.
(SPOILER) In questa versione della storia il regista americano aggiunge un personaggio: si tratta di Snow, interpretato da Jeremy Davies.
Il personaggio sembra fuori testa per tutto il tempo e noi spettatori pensiamo che questo sia dovuto allo stress della situazione, ma alla fine scopriamo che il suo “fantasma”, creato da Solaris, era suo fratello gemello.
Quello che vediamo noi non è l’umano, ma la copia di Solaris, che ha ucciso il suo creatore.
Insomma, quello che vediamo è Solaris che tenta di essere umano, che imita il comportamento umano.
Come una marionetta che tenta di riprodurre perfettamente le nostre movenze.
Infatti l’attore si muove come una marionetta, l’esagerazione dei movimenti, le braccia che si alzano in maniera irreale e la posizione finale del corpo che conclude il discorso.
Solaris, regia Steven Soderbergh
In Tarkovskij agli attori viene chiesto lo stesso.
E’ chiaro in questa scena, dove la moglie di Kelvin ha il ricordo lontano della vita sulla terra mentre osserva un quadro di Brueghel.
Gli attori sono evidentemente due marionette: il modo in cui si abbracciano, il loro levitare appesi a dei fili trasparenti.
Anche gli oggetti si muovono nello spazio come fossero elementi di un teatrino animato.
Quando la camera gira loro attorno e i due si abbracciano anche le mani hanno la fissità delle marionette.
Così come i due corpi adagiati sul divano: marionette senza più fili che le sorreggono.
E la testa di lei nel gesto di baciare lui sulla nuca: è una testa che perde il controllo di qualcuno che prima la sorreggeva.
Solaris, regia Andrej Tarkovskij
Nel cinema di Tarkovskij gli elementi naturali sono sempre molto presenti.
In questo film l’acqua è centrale, lo è naturalmente in tutte le versioni di Solaris perché è l’elemento principale del pianeta, ma in Tarkovskij diventa uno dei protagonisti.
Il suo stato liquido le permette di passare, purificare ma anche fermarsi e prendere la forma di qualcos’altro, per poi plasmarsi in un nuovo sé.
L’acqua di Solaris crea le marionette umane, nel suo passaggio risveglia in loro il ricordo di una forma, di una vita, poi si dissolve e ricomincia il suo tentativo in un fluire infinito.
Acqua e marionette.
Ecco il finale del film: due esseri umani che sono marionette e che si dissolvono per sempre nel fluire dell’acqua.
La sequenza inizia con l’acqua terrestre dove abita il protagonista che torna verso la casa del padre.
Attraverso una finestra vede la figura paterna.
Osservate il volto vuoto del protagonista attraverso il vetro, il modo innaturale in cui tiene la mano e il volto.
Dentro la casa il padre investito da uno scrosciare di acqua bollente che, essendo marionetta, non avverte.
Guardate il modo meccanico, non naturalistico, in cui il padre esce dalla porta della casa e l’inginocchiarsi del figlio.
Poi lo “zoom out” rivelatore: queste vite sono create dal pianeta, disperse nell’acqua.
Solaris, regia Andrej Tarkovskij
CINEMA ANIMATO - TERRA
di Alessandro Palmeri
"Il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo, soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente."
Genesi, capitolo 2, versetto 7.
Credere. La parola "credere" deriva dal latino "credere", che a sua volta proviene dalla radice protoindoeuropea "*ḱred deh-", con "ḱred" che significa "cuore" e "deh-" che significa "porre" o "mettere".
In senso figurato, "credere" nel latino significava "mettere fiducia in qualcosa o qualcuno", o "affidare il cuore". Con il tempo, il significato si è evoluto nel senso di "avere fiducia" o "accettare come vero".
Quasi ogni spettacolo è preceduto dal nero, che esso sia un film o una rappresentazione teatrale. In quel momento di nero avviene il “salto” da una realtà a un’altra. Da quel momento siamo disposti a credere.
Crediamo che una marionetta possa essere animata, che un uomo possa diventare un personaggio sullo schermo.
Riproduciamo in piccolo quello che è scritto nella Bibbia: con la terra plasmiamo un “pupazzo”, gli soffiamo la vita attraverso il nostro respiro e diventa vivo.
La terra è quello di cui siamo fatti ed è ciò su cui viviamo. Nasciamo sulla Terra e dalla Terra ci allontaniamo per un viaggio che ci porta ancora sulla Terra. Un circolo che unisce un travestimento e un viaggio nello spazio. Uomini vestiti da scimmie e uomini senza espressione che, come marionette, affrontano il futuro.
Da 2001 Odissea nello spazio al ritorno sul pianeta delle scimmie.
Le scimmie della scena iniziale di 2001: Odissea nello spazio sono marionette abitabili (all’interno di esse attori danno loro movimento): queste figure vivono e si muovono su una terra incontaminata.
Odissea nello spazio è un film di trasformazioni che, conoscendo bene quel passaggio da un reale all’altro che è il nero, Stanley Kubrick fa iniziare con una profonda e lunga oscurità di 2 minuti e 56 secondi.
Come sappiamo, l’intelligenza aliena trasportata dai monoliti neri, instilla nelle scimmie il luccichio della ragione, una ragione che può essere violenta e/o creativa. Come quella che ci permette, come in uno spettacolo di oggetti, di trasformare un osso in un’astronave.
2001: Odissea nello spazio, regia Stanley Kubrick
Il misterioso parallelepipedo nero, che nella mente dei creatori del film è un’antenna aliena spedita su vari pianeti per cercare un contatto con altre civiltà, esce statuaria e definita dalla terra in cui si è conficcata.
Simbolo di una creazione che dalla terra plasma qualcosa di perfetto, di definito e di scuro.
2001: Odissea nello spazio, regia Stanley Kubrick
Questo film è un viaggio nel futuro: riguardarlo oggi è impressionante, come, in verità, lo è sempre stato da quando è uscito nelle sale cinematografiche nel 1968.
Oggi, però, sappiamo cos’è l’intelligenza artificiale, il futuro è qua.
Il pianeta delle scimmie è un film, sempre del 1968, diretto da Franklin J. Schaffner.
I due film citati non hanno nulla in comune stilisticamente parlando, ma entrambi sono un viaggio circolare che potremmo unire seguendo questo percorso: le scimmie di 2001: Odissea nello spazio si evolvono nell’uomo moderno che, attraverso la sua intelligenza e abilità, si spinge nello spazio alla ricerca di nuovi mondi per poi ricadere sulla Terra, come ne Il pianeta delle scimmie, dove ritrova un altro sé, ritornato alle sue fattezze primordiali, quelle di una scimmia evoluta.
Il pianeta delle scimmie, regia Franklin J. Schaffner
Quello che interessa a noi sono due fattori: la Terra e il travestimento dell’uomo in scimmia.
Questa trasformazione ci proietta nella messa in scena fittizia del pupazzo indossato dall’uomo che possiede la capacità di essere più vero del vero.
Insomma, animare qualcosa che sappiamo non essere reale.
La Terra, da cui siamo nati, anche biblicamente parlando, è altresì il luogo naturale in cui viviamo ed è il centro di questi due film.
Il viaggio di allontanamento dalla Terra di 2001: Odissea nello spazio finisce nell’avvistamento del corpo di un feto che vive nella sua bolla, perso nello spazio come un pianeta: come a dire “noi siamo la Terra”.
2001: Odissea nello spazio, regia Stanley Kubrick
È, forse, l’immagine più irreale del film di Kubrick. È visibilmente una marionetta, il prototipo di un uomo, con quel volto irrealmente adulto che racchiude tutto il dolore e lo stupore del viaggio appena fatto e di quello che verrà.
Questo prototipo umano è la conseguenza dell’unione tra l’astronauta protagonista e il monolite.
Il viaggio che ci porta a questa marionetta del futuro è un’esplorazione del nostro inconscio che ci vede abitare nuovi pianeti e costruire, non solo astronavi, ma una intelligenza artificiale che è nostra copia interiore: una marionetta senza corpo, una marionetta filosofica, marionetta del pensiero.
Il viaggio dell’astronauta George Taylor, protagonista de Il pianeta delle scimmie, è una ricaduta sulla Terra.
Il passaggio in un buco nero o altro, fa atterrare l’astronave con i protagonisti su un pianeta che solo alla fine si capirà essere la Terra del futuro.
Un luogo abitato da scimmie che vivono nella natura, che apparentemente non conoscono la violenza tra simili.
La scena iconica in cui Taylor vede la Statua della Libertà uscire dalla sabbia di una spiaggia è forse una delle immagini più apocalittiche e più rappresentative della follia umana.
La paura che un’imminente guerra nucleare potesse annientare il mondo è alla base della sceneggiatura del film.
Il pianeta delle scimmie, regia Franklin J. Schaffner
Oggi vale la pena rivedere questi due film del passato che ci parlano della nostra Terra, del nostro presente, con gli stessi interrogativi sull’intelligenza artificiale e, purtroppo, su un possibile conflitto nucleare.
La vedete anche voi uscire dalla Terra quella grande “marionetta”, simbolo della libertà?
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